Un viaggio a Barbados
Sotto i portici di Queen Street tre o quattro bancarelle vendono patate dolci, mango, dei curiosi cetrioli verdi e l’immancabile okra, il frutto del gombo, che compare in molti piatti bajan. Non c’è un gran viavai di gente qui a Speightstown, pochissimi i turisti. Come se percorrendo la highway 1, la litoranea che da Bridgetown porta a nord, avessimo ad un certo punto oltrepassato un confine invisibile. Lasciati alle spalle il turismo standardizzato della Platinum Coast, i negozi fashion, le ampie tenute circondate da prati e giardini e gli alberghi a molte stelle nascosti dietro alte recinzioni, ci troviamo in una cittadina sonnolenta che, in teoria, dovrebbe essere il principale centro commerciale del nord dell’isola.
Sul lungomare le costruzioni più recenti sfoggiano tinte vivaci, come si usa a queste latitudini, ma gli edifici storici hanno invece muri sbrecciati e finestre scolorite, tranne quei pochi che si è riusciti a restaurare. Uno è l’Arlington House, tre piani di un bianco candido, che dal 2008 ospitano un piccolo museo cittadino. Speightstown è la seconda città più antica dell’isola, dopo Holetown, fondata dai primi coloni intorno al 1630; ma del suo passato glorioso, quando era il porto più fiorente di Barbabos, è rimasto ben poco. Non che manchi di fascino, intendiamoci. Decidiamo di fermarci, qui è un po’ come a Bathsheba, c’è quell’aria da film datato.
Dalle finestre del nostro appartamento aperte sul lungomare non arriva rumore, passa poca gente, ogni tanto un’auto. Il mare è lì difronte, a pochi metri, oltre la striscia di sabbia candida che corre di fianco alla strada. I colori, nella migliore tradizione tropicale, passano per tutte le varie sfumature dell’azzurro e del turchese, tranne quando il cielo fa le bizze. Cosa che a Barbados accade di frequente.