Un viaggio a Barbados
Sapevamo che non avremmo trovato un’isola lussureggiante. I colonizzatori britannici avevano estirpato la vegetazione originaria già tre secoli fa, ricoprendo il territorio di canna da zucchero. Campi di canna a perdita d’occhio, in cui si nasceva schiavi e da schiavi si moriva. Un mare verde di canna mossa dal vento che ancora oggi, sia pure su scala ridotta, fascia i due lati della strada.
Poche le specie vegetali autoctone che riuscirono a sopravvivere all’invasione dello zucchero. Gli unici grandi alberi rimasti a Barbados sembrerebbero proprio quei giganteschi Ficus citrifolia, dalle lunghe radici aeree simili a barbe, che i primi navigatori portoghesi sbarcati sull’isola chiamarono appunto los barbados.
Eppure le piante native e naturalizzate non sono scomparse del tutto, basta cercarle negli unici luoghi dove i piantatori non si spinsero mai, in fondo agli stretti avvallamenti carsici localmente chiamati gully. Appena entrati nel Welchman Hall Gully ci avvolge una tranquillità ovattata; la frescura del posto è un gran toccasana per il fisico messo a dura prova dall’afa tropicale e invita a fermarsi ed osservare la fitta vegetazione. Ecco come doveva apparire Barbados qualche secolo fa. Anche questo sito, come molti altri, è gestito con grande cura ed attenzione dal Barbados National Trust.